Questo spazio è destinato ad ospitare interventi dei Soci, relativi alle specificità del Diritto dell’Unione europea e alle sue prospettive rispetto al settore concorsuale 12/E1
Maurizio Orlandi30 Settembre 2015 at 13:25Rispondi
Salve a tutti.
Le differenze che intercorrono tra il diritto internazionale ed il diritto dell’ UE sono ben evidenti, la Corte di giustizia UE le ha segnalate ormai da 50 anni!.
Oltre al fatto che il diritto UE presenta delle caratteristiche che lo assimilano al diritto pubblico, c’è da sottolineare un diverso approccio alle relative tematiche, diversità che è sottolineata anche dal fatto che, agli ultimi concorsi, chi ha trattato di tematiche europee non ha avuto molta fortuna (come peraltro chi ha scritto di diritto internazionale dell’economia).
Una separazione dei due settori concorsuali mi sembra quantomai opportuna!
Resta il fatto che, per un certo numero di anni, delle Commissioni oneste dovrebbero comunque considerare le pubblicazioni nell’altra materia!
Maurizio Orlandi
Qualche anno fa, in tempi non sospetti, il nostro Presidente si è posto una domanda centrale per questo forum: “Il Diritto dell’Unione Europea è ancora materia per internazionalisti?” (U. Villani, in Comunità internazionale, 2011, pp. 553-567). Ancora più centrale è la risposta articolata che al quesito è stata data. Una risposta positiva, che vede il Diritto dell’Unione Europea collocato prevalentemente nell’area del diritto internazionale. Si tratta di una risposta condivisibile, soprattutto in Italia, laddove anche la tradizione vuole che le discipline del Diritto dell’Unione Europea e del Diritto internazionale siano strettamente connesse.
L’affinità delle discipline è dunque un punto fermo, che può costituire una solida base di partenza per lo svolgimento delle nostre riflessioni. Lo stesso Prof. Villani afferma, però, che “In primo luogo, il diritto dell’Unione Europea (o forse, più esattamente, il processo di continua evoluzione di tale diritto), nella sua originalità, nella sua complessità e nella sua irradiazione in altri fenomeni giuridici (e, quindi, in altre discipline giuridiche), non può essere una ‘riserva di caccia’ di nessuno, neppure dell’internazionalista. Esso, al contrario, richiede una considerazione e un approccio multidisciplinari, nei quali le differenti specializzazioni, con spirito di apertura e di attenzione ai contributi provenienti dagli altri saperi giuridici, si confrontino e si arricchiscano reciprocamente” (Ibidem, p. 565); continua poi affermando che le peculiarità dell’Unione Europea impongono allo studioso di Diritto dell’Unione di “essere qualcosa in più dell’internazionalista: egli deve avere sensibilità per il metodo comparato, deve padroneggiare categorie elaborate in altre discipline giuridiche, adattandole, peraltro, alle peculiarità del fenomeno europeo, e tuttavia avendo sempre presente che esso rappresenta bensì un ordinamento giuridico di un nuovo genere, ma pur sempre ‘nel campo del diritto internazionale’, come avvertiva la Corte di Giustizia nella sentenza Van Gend en Loos. Insomma, per essere un vero specialista di diritto dell’Unione Europea l’internazionalista – senza smarrire, beninteso, la sua formazione – deve trasformarsi in un ‘generalista’” (Ibidem, p. 566).
È su questi aspetti che occorre riflettere: come valorizzare l’autonomia e le peculiarità del Diritto dell’Unione e dei suoi studiosi e come garantire che il Diritto dell’Unione Europea non sia una “riserva di caccia” per nessuno. A questo si aggiunga anche che le recenti tornate dell’ASN sono state uno “tsunami” per gli equilibri tra i due settori e hanno evidenziato alcune criticità alle quali urge porre rimedio.
Uno degli strumenti per conseguire questi obiettivi potrebbe essere la separazione dei settori concorsuali, riconoscendo autonomia al settore di Diritto dell’Unione Europea (JUS14), come ormai consentito dalla legge (art. 15, co. 2, della legge 240 del 2010).
Oltre all’immediato effetto sulla composizione delle commissioni di concorso, l’esistenza di un autonomo settore concorsuale potrebbe, ad esempio, garantire quel necessario aumento del numero degli studiosi afferenti al settore del Diritto dell’Unione Europea, che si occupano esclusivamente di Diritto dell’Unione. Per chi si occupa di Diritto UE, infatti, sempre più frequenti sono i confronti e le sollecitazioni provenienti dalla magistratura, dall’avvocatura, dalle parti sociali, dai mezzi di informazione. Le recenti “crisi” registrate in relazione alle politiche di immigrazione ed in ambito economico/monetario hanno enfatizzato il bisogno di analisi, di approfondimento e di divulgazione del Diritto dell’Unione Europea, come forse non era mai accaduto in passato. Inoltre, la copiosa produzione normativa e giurisprudenziale propria del diritto UE richiede, da una parte, la dedizione di studiosi che si occupino prevalentemente, se non esclusivamente, di diritto UE e, dall’altro, che vi siano categorie, approcci e produzioni scientifiche diverse rispetto al diritto internazionale, pur nelle affinità tra le due discipline.
Si potrebbe obiettare che lo scorporo dei due settori disciplinari in due settori concorsuali distinti potrebbe penalizzare coloro che si sono dedicati ad entrambe le discipline. Uno strumento volto a rimediare ad una criticità passata potrebbe causarne un’altra, simile alla prima. Tuttavia il rischio che ciò accada mi pare piuttosto remoto. La separazione dei settori concorsuali non può portare alla separazione netta dei temi tra i due settori, che sono e rimarranno affini. È più probabile, invece, che coloro che possono vantare “curricula misti”, potranno candidarsi di fronte ad entrambe le ipotetiche commissioni dei due ipotetici settori concorsuali.
La pubblicazione del decreto ministeriale sula determinazione dei settori concorsuali pare essere imminente, per cui a breve sapremo se lo scorporo ci sarà effettivamente o meno. In ogni caso la riflessione sul Diritto dell’Unione Europea e sulla sua collocazione tra le discipline giuridiche dovrà continuare: se lo scorporo ci sarà, rimarranno comunque da affrontare le questioni di fondo alle quali si è prima accennato (“scongiurare che diventi una riserva di caccia”, consolidare le peculiarità dello studio di questa disciplina e valorizzare le affinità delle discipline); analogamente, se non ci sarà, occorrerà riflettere su altre soluzioni, alcune in verità già all’orizzonte, che possano rispondere in maniera adeguata almeno alle criticità emerse nell’ultima tornata concorsuale, ferma rimanendo anche la necessità che le peculiarità e le esigenze del settore del Diritto dell’Unione Europea siano prese debitamente in considerazione e maggiormente valorizzate.
Chiara Favilli
Cara Chiara, cari colleghi,
Lo scorporo risolve alcuni problemi ma ne genera altri e diversi.
Sicuramente tra i problemi vi è stata la mancata valorizzazione degli studiosi di diritto comunitario nelle prime due tornate concorsuali – problema non irrisolvibile anzitutto perche legato alle scelte di fondo di una specifica commissione, in secondo luogo perche ovviabile in futuro con commissioni miste.
Il secondo problema, forse piu rilevante, è l’attrattivita del nuovo settore per gli studiosi che provengono da altre discipline: costituzionale, amministrativo, pubblico comparato, ma la lista è in realtà aperta. Personalmente non sono preoccupata da una perdita di “controllo” da parte delle scuole che tradizionalmente studiano il comunitario in Italia, quanto mi spaventa un abbassamento deigli standard qualitativi per accogliere tutti ecumenicamente, proprio perché il setttore ha bisogno di numeri ben più importanti.
Quest’ultimo problema non si risolve stabilendo palettti e confini ma pretendendo serietà e qualità dei percorsi formativi. Continuo ad essere convinta che gli studi internazionalistici siano importanti per formare un buon comunitarista, ma non è con una difesa corporativa che si potrà apparire credibili, semmai valorizzando quei percorsi che, pur differenti rispetto ai nostri, dimostrino un grado di approfondimento ed un’ampiezza nella conoscenza della materia altrettanto apprezzabili. Non vorrei che si diventasse professori conoscendo una politica dell’Unione, o magari, avndo esperienza di come si fanno i progetti europei. I fondamenti rimangono la cosa piu importante e la conoscenza (o non conoscenza) del sistema istituzionale è essenziale ed immediatamente percebibile in realta anche leggendo un testo sulla politica agricola o sulla politica sociale europea.
Questo problema si risolve, credo, incoraggiando i nostri soci che insegnano il comunitario a passare allo IUS 14 ed auspicando che in veste di commissari sapranno discernere con saggezza.
Un ultimo problema, che mi tocca personalmente, e’ quello dei curricula misti, e non mi riferisco solo alle pubblicazioni a cavallo tra i due settori come le relazioni esterne dell’unione (o il diritto internazionale privato comunitario) quanto proprio a quelle riferibili solo all’uno o solo all’altro. Ho la disgrazia (!) di avere scritto di diritto dell’Unione e di diritto internazionale dell’economia, perché nel mio percorso di ricerca i rimandi tra un campo e l’altro erano evidenti anche se non immediatamente percepibili. Provengo da una scuola (e forse da una generazione) in cui ancora era frequente l’incoraggiamento dei maestri a coltivare piu settori, era considerato un valore aggiunto. Molti di noi si trovano in realta nella stessa situazione.
Cosa succedera’ se dovessi presentarmi ad una commissione di ius 14? Probabilmente una parte dei miei titoli non sarebbe considerata rilevante. Se l’apertura a studiosi di altre discipline fosse gia’ realizzata mancherebbero gli strumenti e l’interesse a valutare i titoli “spuri”, mi chiedo perfino se entrerebbero nel calcolo delle mediane.
Se mi presentassi invece ad una commissione di IUS 13 il rischio sarebbe “solo” quello di riassistere ad un film gia visto, legittimato in questo caso dall’esistenza di un settore diverso per lo IUS 14.
Perdonatemi se ho fatto un esempio personale, ma credo che il caso non sia isolato.
Stimo troppo i colleghi della SIDI per ritenere che in realta’ vogliano favorire questi scenari, penso solo che possano essere sfuggite alla valutazioni una serie di criticita’ specifiche che riguardano solo alcuni di noi e vi sarò grata se – qualunque sia lo scenario futuro- si potranno prenderle in considerazione.
Cari saluti
Susanna
Salve a tutti.
Le differenze che intercorrono tra il diritto internazionale ed il diritto dell’ UE sono ben evidenti, la Corte di giustizia UE le ha segnalate ormai da 50 anni!.
Oltre al fatto che il diritto UE presenta delle caratteristiche che lo assimilano al diritto pubblico, c’è da sottolineare un diverso approccio alle relative tematiche, diversità che è sottolineata anche dal fatto che, agli ultimi concorsi, chi ha trattato di tematiche europee non ha avuto molta fortuna (come peraltro chi ha scritto di diritto internazionale dell’economia).
Una separazione dei due settori concorsuali mi sembra quantomai opportuna!
Resta il fatto che, per un certo numero di anni, delle Commissioni oneste dovrebbero comunque considerare le pubblicazioni nell’altra materia!
Maurizio Orlandi
Qualche anno fa, in tempi non sospetti, il nostro Presidente si è posto una domanda centrale per questo forum: “Il Diritto dell’Unione Europea è ancora materia per internazionalisti?” (U. Villani, in Comunità internazionale, 2011, pp. 553-567). Ancora più centrale è la risposta articolata che al quesito è stata data. Una risposta positiva, che vede il Diritto dell’Unione Europea collocato prevalentemente nell’area del diritto internazionale. Si tratta di una risposta condivisibile, soprattutto in Italia, laddove anche la tradizione vuole che le discipline del Diritto dell’Unione Europea e del Diritto internazionale siano strettamente connesse.
L’affinità delle discipline è dunque un punto fermo, che può costituire una solida base di partenza per lo svolgimento delle nostre riflessioni. Lo stesso Prof. Villani afferma, però, che “In primo luogo, il diritto dell’Unione Europea (o forse, più esattamente, il processo di continua evoluzione di tale diritto), nella sua originalità, nella sua complessità e nella sua irradiazione in altri fenomeni giuridici (e, quindi, in altre discipline giuridiche), non può essere una ‘riserva di caccia’ di nessuno, neppure dell’internazionalista. Esso, al contrario, richiede una considerazione e un approccio multidisciplinari, nei quali le differenti specializzazioni, con spirito di apertura e di attenzione ai contributi provenienti dagli altri saperi giuridici, si confrontino e si arricchiscano reciprocamente” (Ibidem, p. 565); continua poi affermando che le peculiarità dell’Unione Europea impongono allo studioso di Diritto dell’Unione di “essere qualcosa in più dell’internazionalista: egli deve avere sensibilità per il metodo comparato, deve padroneggiare categorie elaborate in altre discipline giuridiche, adattandole, peraltro, alle peculiarità del fenomeno europeo, e tuttavia avendo sempre presente che esso rappresenta bensì un ordinamento giuridico di un nuovo genere, ma pur sempre ‘nel campo del diritto internazionale’, come avvertiva la Corte di Giustizia nella sentenza Van Gend en Loos. Insomma, per essere un vero specialista di diritto dell’Unione Europea l’internazionalista – senza smarrire, beninteso, la sua formazione – deve trasformarsi in un ‘generalista’” (Ibidem, p. 566).
È su questi aspetti che occorre riflettere: come valorizzare l’autonomia e le peculiarità del Diritto dell’Unione e dei suoi studiosi e come garantire che il Diritto dell’Unione Europea non sia una “riserva di caccia” per nessuno. A questo si aggiunga anche che le recenti tornate dell’ASN sono state uno “tsunami” per gli equilibri tra i due settori e hanno evidenziato alcune criticità alle quali urge porre rimedio.
Uno degli strumenti per conseguire questi obiettivi potrebbe essere la separazione dei settori concorsuali, riconoscendo autonomia al settore di Diritto dell’Unione Europea (JUS14), come ormai consentito dalla legge (art. 15, co. 2, della legge 240 del 2010).
Oltre all’immediato effetto sulla composizione delle commissioni di concorso, l’esistenza di un autonomo settore concorsuale potrebbe, ad esempio, garantire quel necessario aumento del numero degli studiosi afferenti al settore del Diritto dell’Unione Europea, che si occupano esclusivamente di Diritto dell’Unione. Per chi si occupa di Diritto UE, infatti, sempre più frequenti sono i confronti e le sollecitazioni provenienti dalla magistratura, dall’avvocatura, dalle parti sociali, dai mezzi di informazione. Le recenti “crisi” registrate in relazione alle politiche di immigrazione ed in ambito economico/monetario hanno enfatizzato il bisogno di analisi, di approfondimento e di divulgazione del Diritto dell’Unione Europea, come forse non era mai accaduto in passato. Inoltre, la copiosa produzione normativa e giurisprudenziale propria del diritto UE richiede, da una parte, la dedizione di studiosi che si occupino prevalentemente, se non esclusivamente, di diritto UE e, dall’altro, che vi siano categorie, approcci e produzioni scientifiche diverse rispetto al diritto internazionale, pur nelle affinità tra le due discipline.
Si potrebbe obiettare che lo scorporo dei due settori disciplinari in due settori concorsuali distinti potrebbe penalizzare coloro che si sono dedicati ad entrambe le discipline. Uno strumento volto a rimediare ad una criticità passata potrebbe causarne un’altra, simile alla prima. Tuttavia il rischio che ciò accada mi pare piuttosto remoto. La separazione dei settori concorsuali non può portare alla separazione netta dei temi tra i due settori, che sono e rimarranno affini. È più probabile, invece, che coloro che possono vantare “curricula misti”, potranno candidarsi di fronte ad entrambe le ipotetiche commissioni dei due ipotetici settori concorsuali.
La pubblicazione del decreto ministeriale sula determinazione dei settori concorsuali pare essere imminente, per cui a breve sapremo se lo scorporo ci sarà effettivamente o meno. In ogni caso la riflessione sul Diritto dell’Unione Europea e sulla sua collocazione tra le discipline giuridiche dovrà continuare: se lo scorporo ci sarà, rimarranno comunque da affrontare le questioni di fondo alle quali si è prima accennato (“scongiurare che diventi una riserva di caccia”, consolidare le peculiarità dello studio di questa disciplina e valorizzare le affinità delle discipline); analogamente, se non ci sarà, occorrerà riflettere su altre soluzioni, alcune in verità già all’orizzonte, che possano rispondere in maniera adeguata almeno alle criticità emerse nell’ultima tornata concorsuale, ferma rimanendo anche la necessità che le peculiarità e le esigenze del settore del Diritto dell’Unione Europea siano prese debitamente in considerazione e maggiormente valorizzate.
Chiara Favilli
Cara Chiara, cari colleghi,
Lo scorporo risolve alcuni problemi ma ne genera altri e diversi.
Sicuramente tra i problemi vi è stata la mancata valorizzazione degli studiosi di diritto comunitario nelle prime due tornate concorsuali – problema non irrisolvibile anzitutto perche legato alle scelte di fondo di una specifica commissione, in secondo luogo perche ovviabile in futuro con commissioni miste.
Il secondo problema, forse piu rilevante, è l’attrattivita del nuovo settore per gli studiosi che provengono da altre discipline: costituzionale, amministrativo, pubblico comparato, ma la lista è in realtà aperta. Personalmente non sono preoccupata da una perdita di “controllo” da parte delle scuole che tradizionalmente studiano il comunitario in Italia, quanto mi spaventa un abbassamento deigli standard qualitativi per accogliere tutti ecumenicamente, proprio perché il setttore ha bisogno di numeri ben più importanti.
Quest’ultimo problema non si risolve stabilendo palettti e confini ma pretendendo serietà e qualità dei percorsi formativi. Continuo ad essere convinta che gli studi internazionalistici siano importanti per formare un buon comunitarista, ma non è con una difesa corporativa che si potrà apparire credibili, semmai valorizzando quei percorsi che, pur differenti rispetto ai nostri, dimostrino un grado di approfondimento ed un’ampiezza nella conoscenza della materia altrettanto apprezzabili. Non vorrei che si diventasse professori conoscendo una politica dell’Unione, o magari, avndo esperienza di come si fanno i progetti europei. I fondamenti rimangono la cosa piu importante e la conoscenza (o non conoscenza) del sistema istituzionale è essenziale ed immediatamente percebibile in realta anche leggendo un testo sulla politica agricola o sulla politica sociale europea.
Questo problema si risolve, credo, incoraggiando i nostri soci che insegnano il comunitario a passare allo IUS 14 ed auspicando che in veste di commissari sapranno discernere con saggezza.
Un ultimo problema, che mi tocca personalmente, e’ quello dei curricula misti, e non mi riferisco solo alle pubblicazioni a cavallo tra i due settori come le relazioni esterne dell’unione (o il diritto internazionale privato comunitario) quanto proprio a quelle riferibili solo all’uno o solo all’altro. Ho la disgrazia (!) di avere scritto di diritto dell’Unione e di diritto internazionale dell’economia, perché nel mio percorso di ricerca i rimandi tra un campo e l’altro erano evidenti anche se non immediatamente percepibili. Provengo da una scuola (e forse da una generazione) in cui ancora era frequente l’incoraggiamento dei maestri a coltivare piu settori, era considerato un valore aggiunto. Molti di noi si trovano in realta nella stessa situazione.
Cosa succedera’ se dovessi presentarmi ad una commissione di ius 14? Probabilmente una parte dei miei titoli non sarebbe considerata rilevante. Se l’apertura a studiosi di altre discipline fosse gia’ realizzata mancherebbero gli strumenti e l’interesse a valutare i titoli “spuri”, mi chiedo perfino se entrerebbero nel calcolo delle mediane.
Se mi presentassi invece ad una commissione di IUS 13 il rischio sarebbe “solo” quello di riassistere ad un film gia visto, legittimato in questo caso dall’esistenza di un settore diverso per lo IUS 14.
Perdonatemi se ho fatto un esempio personale, ma credo che il caso non sia isolato.
Stimo troppo i colleghi della SIDI per ritenere che in realta’ vogliano favorire questi scenari, penso solo che possano essere sfuggite alla valutazioni una serie di criticita’ specifiche che riguardano solo alcuni di noi e vi sarò grata se – qualunque sia lo scenario futuro- si potranno prenderle in considerazione.
Cari saluti
Susanna